Tradizione e Storia - Contenuto della pagina Stampa o Pdf Stampa o Pdf

  • Karate tradizionale e Karate sportivo
  • Storia del karate

 

Karate tradizionale e Karate sportivo

 

Le seguenti riflessioni sono del Grande Maestro Masatoshi Nakayama, 10° dan e storico Capo-istruttore della Japan Karate Association, allievo diretto e successore di Funakoshi Gichin, fondatore del Kara-te moderno.

 

Esse furono divulgate diversi anni fa, in occasione dell’avvento del cosiddetto “Karate sportivo” e per mettere in luce alcune sue fondamentali particolarità rispetto al “Karate tradizionale”. Ritengo siano sempre di grande attualità.

 

“Il Karate esiste da sempre come arte di autodifesa e come mezzo per accrescere la conoscenza e mantenere la salute. Ma negli ultimi vent’anni è stata sperimentata ed è venuta alla ribalta una nuova disciplina: il Karate sportivo.

 

Nel Karate sportivo si organizzano delle competizioni allo scopo di determinare il livello di abilità dei partecipanti, ma, bisogna sottolinearlo, c’è molto da rammaricarsi. C’è, infatti, una diffusa tendenza a porre troppa enfasi sulla gara sportiva, preferendo intraprendere al più presto il jiyu kumité, anziché curare lo studio delle tecniche fondamentali.

 

Dare troppa importanza alla competizione sportiva non fa progredire né nella pratica dei fondamentali d’allenamento né nella propria crescita complessiva, anzi, può alterarle. E non solo, perché ciò renderà ben presto il praticante incapace di eseguire tecniche forti ed efficaci, che da sempre, invece, caratterizzano l’es­senza originale del Karate-do.

 

Chi intraprende il jiyu kumite prematuramente, senza aver praticato sufficientemente i fondamentali, si troverà, prima o poi, ad essere superato da chi si è allenato a lungo e diligentemente nelle tecniche di base. In breve, la fretta reca danno.
Non vi è altra alternativa che imparare le tecniche e i movimenti fondamentali passo dopo passo, gradino dopo gradino. Se poi si vogliono tenere competizioni di Karate, queste dovranno essere condotte nelle condizioni più adatte e con il dovuto spirito.

 

Il desiderio di vincere è controproducente perché porta ad una perdita di serietà nell’apprendimento. Mirare ad una selvaggia esibizione di forza e di potenza in gara è del tutto sconveniente. Quando ciò avviene non vi è più cortesia nei confronti dell’avversario, cosa di primaria importanza in ogni espressione del Karate.

 

Credo che questo argomento offra molti spunti di riflessione e di autoanalisi, sia agli istruttori sia agli allievi”.

 

M° Masatoshi Nakayama

 

 


 

 

Storia del Karate

 

Stranamente il Karate nasce in una piccola isola del Pacifico, chiamata Okinawa. Okinawa è una delle 161 isole delle RyuKyu situata tra il Giappone e la Cina, oggi prefettura Nipponica. Sull’isola esistevano già delle discipline di combattimento acquisite attraverso gli scambi con vari paesi dell’Asia (Okinawa si trova da sempre nelle rotte commerciali):

  • Te-gumi (kumi): lotta popolare derivante dall’antico Sumo e dal Jiao-li
  • Ti’gwa: tecniche di percossa, proveniente dal sud est asiatico (Indonesia, Filippine)
  • Bukigwa: tecniche con armi bianche (> Kobudo)

 

Tra il XIV e il XV sec. comincia l’introduzione delle arti marziali cinesi, grazie a monaci taoisti, prima, e buddisti, poi, studenti (scambi), città di Kume (colonia cinese sull’isola), diplomatici in missione, ex militari, naufraghi (Anan). L’introduzione rivoluzionaria furono i Taolu. Nasce così il To-De, la disciplina di Okinawa.

 

Il termine Karate compare per la prima volta ad opera di Hanashiro e poi nel 1929 da Funakoshi (KarateDo Kyhon del ’36). Sara Ufficiale del 1936 a un importante convegno di maestri. (TE: mano, intesa come abilità, arte, eccellenza e riprendendo il concetto di KARA, vuoto come opportunità. Si potrebbe definire come “Abilità del gestire il presente e il divenire”).

 

Il To-De a Okinawa si sviluppa in tre città: Naha, Shuri e Tomari e in seguito si raggrupperà in due grossi filoni: lo Shuri-Te e il Naha-Te. Le differenze sono sostanziali. Lo stile Shuri segue la genealogia dei Maestro Sakugawa, Matsumura, Itosu e poi vari maestri che si diramano in varie scuole di Shorin, tra questi c’è il M° Funakoshi, ritenuto il padre dello Shotokan (松濤館流 Shōtōkan-ryū) ma è indubbia l’influenza che ha avuto suo figlio, il M° Yoshitaka Funakoshi (1906-1945), detto Gigo.

 

Si riconosce al Maestro Gichin Funakoshi il merito di aver esportato e diffuso il karate dall’isola di Okinawa all’intero del Giappone, anche se non è stato il solo. Il Maestro Gichin Funakoshi espose i Venti Principi del Karate (o Niju kun), che costituirono le basi della disciplina prima che i suoi studenti fondassero la JKA. In questi principi, fortemente basati sul bushidō e sullo zen, è contenuta la filosofia dello stile Shotokan. Essi contengono nozioni di umiltà, rispetto, compassione, pazienza e calma sia interiore che esteriore.

 

Lo stesso Maestro Funakoshi scrisse: “Lo scopo ultimo del karatè non si trova nella vittoria o nella sconfitta, ma nella perfezione del carattere dei partecipanti”. In Italia il merito della diffusione del Karate Shotokan va attribuita al M° Shirai, in diversa misura maestro di tutti noi.

 

Negli anni, il M° Shirai ha invitato tanti maestri Giapponesi ad insegnare, soprattutto il M° Kase al quale lo legava una forte amicizia. Le tecniche dello Shotokan sono caratterizzate, perlopiù da posizioni ampie e profonde, che consentono stabilità, permettono movimenti forti e radicati. Le tecniche del kumite rispecchiano queste posizioni e movimenti, a livello di base, ma con una maggior esperienza, diventano più flessibili e fluide. Non sono esclusi movimenti circolari, ma lo stile privilegia traiettorie rettilinee. Parimenti, si studia sia il ko-waza e lo o-waza, ma con una evidente preferenza per quest’ultimo.

 

È uno stile in cui la forza si esprime attraverso l’espansione e la didattica del Karatè Shotokan si sviluppa in tre parti: kihon, kata e kumite.