– Arte guerriera e Gentilezza
Nella tradizione orientale, ma non solo in quella, l’Arte guerriera era sostenuta da una saggia filosofia. Il bravo guerriero combatte per far trionfare il suo ideale, ma non perde mai di vista il rispetto dell’avversario e del suo onore, cioè il rispetto dell’altrui personalissima vita.
Chi mai, infatti, potrebbe ergersi a giudice o, addirittura, a giustiziere di un altro?
Nessuno dovrebbe mai, perché nessuno può arrogarsi il potere di vita e di morte su chicchessia, così come su qualsiasi altra cosa, per il semplice fatto che la vita, così come la morte, sono eventi che esulano dalla nostra comprensione, sono avvolti nel più grande dei misteri della natura. Quello che include anche la nostra mente, che, per definizione, è illimitata.
Pertanto, il saggio guerriero non deve combattere per annientare il nemico, ma per impedirgli di nuocere, affinché il bene sia vincitore sul male e i giorni possano scorrere vivendo all’insegna della giustizia e dell’armonia. Che, come ben sappiamo, sono i migliori auspici che possiamo fare, in qualsiasi tempo, alla nostra e all’altrui esistenza.
Spostandoci dall’arte guerriera alle dispute che possono interessare i diversi rapporti interpersonali, la cultura da mettere in campo è sempre la stessa, cioè quella del rispetto dell’altro, anche fosse un avversario.
Cultura che in Oriente viene denominata “Pratica della Gentilezza” e che consente di passare da una dilagante e corrodente “Cultura del sospetto” a una rappacificante e salutare “Cultura del rispetto” (per questo spunto si ringrazia vivamente la dott.ssa Roberta de Monticelli, docente di Filosofa della persona, e si coglie l’occasione per complimentarsi con gli organizzatori del Festival della Filosofia di Modena, che ogni anno, dal 2000, offre valide occasioni di nuova conoscenza).
– Arjuna, il guerriero per eccellenza
Arjuna è il principale protagonista della scena centrale del poema epico più imponente della storia della letteratura mondiale: il Mahabharata, i cui diciotto volumi furono composti nell’arco di alcuni secoli e comprendono circa 500.000 versi. Al suo interno, diciotto canti del VI volume costituiscono la Bhagavad-Gita, cioè “Il canto del Beato”, un’opera universalmente riconosciuta come l’espressione della più alta spiritualità, non solo per l’India ma per il mondo intero.
Ci troviamo in un campo di battaglia e Arjuna, capo della stirpe Pandava è schierato contro i Kaurava, che sono parenti, maestri e amici che hanno usurpato il suo trono e stanno governando lo stato con ingiustizia. Di fronte a ciò che si sarebbe consumato di lì a poco, Arjuna cade nello sconforto e, piangendo, dichiara che non se la sente di uccidere quei nemici. L’auriga del suo carro da guerra è il divino Krshna, che lo consola spiegandogli che il corso della vita è infinito e che quelli che vede di fronte sono già nati e morti mille e mille volte e ancora mille e mille volte nasceranno e moriranno nuovamente. Da qui l’insegnamento che dev’essere fatto ciò che è giusto fare.
Nel perenne divenire che ne consegue ciò che è davvero importante è aver presente quel che di immortale è in noi. L’importante è fare il proprio dovere, quello per il quale si è nati, cioè evolvere, e per il quale si è destinati in forza delle scelte compiute. “Il disonore è peggiore della morte”, dice ad Arjuna, “O, ucciso, otterrai il cielo, o, vincitore, ti godrai questa terra; sorgi […] deciso alla battaglia”. Un guerriero deve combattere fino alla fine, cosciente di fare la cosa giusta al momento giusto, senza alcun attaccamento al frutto delle azioni e senza preoccuparsi delle conseguenze.
– Il corretto agire nel mondo
La Pratica della Gentilezza viene quindi raccomandata per non incorrere nel grande “peccato” (inteso come corrispettivo morale di “reato” in campo giuridico) del “nuocere” al mondo, cioè a se stessi, agli altri e alla natura in genere.
L’insegnamento dei grandi saggi è di “non nuocere”, né col pensiero né con la parola né con l’azione. Si tratta del “non nuocere” (ahimsa) che ha improntato la vita del Mahatma Gandhi e che viene anche riduttivamente tradotto come “non violenza”. Per contrastare la tendenza alla collera, che del nuocere è l’emozione distruttiva di fondo, qualora essa fosse presente e purtroppo è cosa molto comune, occorre coltivare e praticare la Gentilezza. Gentilezza verso di sé, verso gli altri e verso la natura. Il premio, in risposta, non mancherà di esserci e poggerà su una sempre maggiore serenità interiore, una sempre migliore relazione con gli altri, una sempre più ecologica ed equilibrata condotta di vita.
“Krshna esorta Arjuna a combattere [il male] senza passione e senza malanimo, senza collera e senza impegno; se noi sviluppiamo una struttura psichica del genere, la violenza ne sarà resa impossibile. Noi dobbiamo combattere contro il male e l’ingiustizia; ma se poi ci permettiamo di odiare, la nostra sconfitta sul piano dello spirito sarà più che sicura.” (Dall’Introduzione alla “Bhagavad Gita” di Sarvepalli Radhakrishnan, traduzione e commento di Icilio Vecchiotti, Ubaldini Editori, Roma).
“Agire, fare, operare, con buona volontà, qui ed ora, il resto sarà di conseguenza e secondo natura. Non è possibile sapere di preciso cosa ci riserverà il futuro, ma ciò che abbiamo dato, prima o poi, ci sarà restituito”.
E’ questo che ci insegna l’universale legge dell’interdipendenza di tutte le cose.
“Ciò che semini, raccogli.”, in una sintesi del come muoversi nella vita e, insieme, del vivere serenamente la vita di tutti i giorni, cioè i singoli frangenti dell’esistenza così come quelli che apparentemente sembrano essere i meno significativi.